LA VICENDA BIOGRAFICA


Scarni sono i dati biografici accertati su Pergolesi. Nacque nel 1710 a Jesi, da una famiglia di modeste condizioni, afflitta probabilmente da gravi tare di salute; nel giro di pochi anni il musicista perse tutti i propri familiari. Studiò nel paese natale il violino e intorno ai tredici anni venne mandato a perfezionare i propri studi musicali a Napoli, presso uno dei quattro conservatori della città, quello dei Poveri di Gesù Cristo. Qui ebbe tra i propri insegnanti Gaetano Greco, Francesco Durante e, per un breve periodo, Leonardo Vinci. Esordì con un oratorio scritto per i padri filippini, La fenice sul rogo (marzo 1731) cui fece seguito, pochi mesi dopo, il dramma sacro in tre atti Li prodigi della Divina Grazia nella conversione e morte di San Guglielmo Duca d'Aquitania: quest'ultima opera accoglie un personaggio buffo che si esprime in dialetto napoletano, il Capitan Cuosemo, ed evidenzia per la prima volta la sua vivace vena comica. La favorevole impressione suscitata da queste prove (unitamente a forti protezioni negli ambienti ufficiali) procurarono a Pergolesi, nello stesso 1731, la commissione di un'opera seria per il maggior teatro di Napoli, il San Bartolomeo. Come libretto venne scelto un vecchio lavoro di Apostolo Zeno, l'Alessandro Severo, rappresentato a Venezia nel 1716, che fu rielaborato con il nuovo titolo di Salustia. L'opera andò in scena – dopo una laboriosissima preparazione funestata dalla morte del protagonista, il celebre Nicolò Grimaldi – solo nella seconda metà del gennaio 1732, apparentemente con scarso successo, dal momento che fu ritirata all'inizio del mese successivo. Ma la fama di Pergolesi doveva essere già ben solida, se nel settembre dello stesso anno mise in scena, presso il Teatro dei Fiorentini, la sua prima commedia musicale, Lo frate 'nnamorato, su libretto di Gennarantonio Federico, che doveva diventare il suo librettista preferito. Il successo dell'opera è testimoniato dalla sua ripresa (in una nuova versione, leggermente modificata) nel 1734 e, fatto del tutto eccezionale, nel 1748, dodici anni dopo la morte del musicista.

L'ascesa artistica e sociale di Pergolesi è testimoniata in questo stesso anno da due fatti. In primo luogo egli fu assunto al servizio del principe di Stigliano Ferdinando Colonna, che occupava una posizione chiave nella corte vicereale. In secondo luogo gli fu affidato dalla municipalità di Napoli il compito di comporre una messa e un vespro in onore di S. Emidio, sotto la cui protezione si era posta la città dopo una serie di disastrosi terremoti. In soli due anni di attività Pergolesi si era cimentato nei principali generi compositivi: il teatro serio, il teatro comico e la musica religiosa. Nel novembre del 1732 Pergolesi entrò come organista soprannumerario presso la Cappella Reale. Nella relazione con la quale si raccomandava la sua assunzione si faceva riferimento alla grande aspettativa con la quale il mondo musicale napoletano seguiva la sua carriera di compositore, al successo che aveva salutato la rappresentazione de Lo frate 'nnamorato e soprattutto «al bisogno che tiene la Cappella Reale de soggetti che compongono sopra il gusto moderno». In altre parole, si riconosceva in Pergolesi un esponente di quello stile ‘pregalante', ormai svincolato dal gusto barocco, che si sarebbe ben presto diffuso in tutta Europa.

La solida stima della quale il musicista ormai godeva è altresì confermata dalla commissione, per la stagione successiva, di una nuova opera seria, Il prigionier superbo (anch'esso basato sulla rielaborazione di un precedente vecchio libretto di Francesco Silvani). L'opera andò in scena il 28 agosto 1733 ed ebbe un lusinghiero successo grazie soprattutto ai suoi intermezzi La serva padrona, di nuovo su un geniale libretto di Gennarantonio Federico. Il culmine del consenso dell'ambiente sociale napoletano verso il musicista è rappresentato dalla sua nomina, nel febbraio 1734, a maestro di cappella sostituto della Fedelissima Città di Napoli, con diritto di succedere al titolare dell'ufficio, il celebre e anziano Domenico Sarro.

Ma intanto grandi avvenimenti sconvolgevano il Regno di Napoli: il 10 maggio 1734 Carlo di Borbone, dopo una rapidissima guerra, faceva il suo ingresso a Napoli e il 16 dello stesso mese vi veniva incoronato re; gli Austriaci (che occupavano Napoli dal 1707) furono costretti a indietreggiare in Italia meridionale e in Sicilia. Buona parte della nobiltà napoletana, e in particolare quella più legata agli Asburgo, si ritirò nel campo neutro di Roma, attendendo l'esito conclusivo della guerra. Tra i nobili più restii ad accettare la nuova situazione politica era il principe di Stigliano, al cui servizio lavorava Pergolesi, insieme con altri titolati che avevano concesso la loro protezione al musicista, come il duca Caracciolo d'Avellino (che si rifugiò addirittura a Vienna) e il Duca Marzio IV Maddaloni Carafa. Quest'ultimo e sua moglie, Anna Colonna, invitarono Pergolesi a Roma nel maggio del 1734. Il grande caricaturista Pierleone Ghezzi, incuriosito da questo giovane maestro di cappella napoletano, schizzò in questa occasione l'unica rappresentazione autentica di Pergolesi che a noi sia pervenuta; in un primo tempo egli ne ritrasse dal vivo solo il volto, al quale più tardi (in un secondo disegno) aggiunse a memoria la figura intera. I due ritratti ci mostrano un giovane tarchiato, con un profilo dai lineamenti forti, vagamente negroidi; nel secondo, a figura intera, la gamba sinistra è rattrappita, com'è tipico dei poliomielitici. Davvero qualche cosa di molto lontano dalle tante immagini idealizzate di pura fantasia che si sono accumulate dal Settecento sino ai nostri giorni. Pergolesi diresse a Roma, nella Chiesa di S. Lorenzo in Lucina (sede della Cappella Nazionale Boema) la sua Messa in fa maggiore (una rielaborazione della precedente Messa per S. Emidio) in una splendida e fastosa esecuzione per soli, quattro cori e due orchestre, all'interno di una funzione in onore di S. Johann Nepomuk (il protettore della Boemia). Si trattava in sostanza di un atto scopertamente politico, un'aperta dichiarazione di fedeltà all'impero austriaco da parte della famiglia Maddaloni. L'esecuzione romana della Messa, mentre da un lato costituì un grande successo per Pergolesi e la sua prima affermazione artistica fuori dei confini napoletani, rappresentò dall'altro una fatale incrinatura dei suoi rapporti con il nuovo governo borbonico.

Il 25 ottobre 1734 un'opera seria di Pergolesi fu rappresentata per l'ultima volta nel teatro ufficiale di Napoli, il San Bartolomeo: fu l'Adriano in Siria su libretto di Pietro Metastasio, al quale venne abbinato l'intermezzo Livietta e Tracollo. Nonostante la presenza nella compagnia di un cantante della levatura di Gaetano Caffarelli, l'opera non ebbe grande successo. Il successivo melodramma di Pergolesi, L'Olimpiade, fu rappresentato a Roma, presso il Teatro Tordinona, nel gennaio del 1735; contestualmente, presso il Teatro Valle, venne messa in scena La serva padrona.

Al ritorno a Napoli, la salute di Pergolesi dovette subire un improvviso peggioramento. Ciò non gli impedì tuttavia di proseguire la sua attività compositiva. Nell'autunno del 1735 fu rappresentata al Teatro dei Fiorentini una sua nuova commedia musicale, ancora su libretto di Gennarantonio Federico, Il Flaminio. Il lavoro, a giudicare dalle numerose riprese, anche fuori Napoli, dovette riscuotere grande successo. In questi mesi Pergolesi si accinse alla composizione di una serenata commissionatagli per le nozze del giovane Principe Raimondo di S. Severo con Carlotta Gaetani dell'Aquila D'Aragona, programmate per il 1° dicembre 1735 a Torremaggiore, presso Foggia. Dal libretto (la musica è perduta) si desume che Pergolesi riuscì a musicarne – a causa della malattia – solo la prima parte. Sugli ultimi mesi di vita di Pergolesi non si hanno notizie certe; con ogni probabilità fu ospitato a Pozzuoli nel Convento dei Cappuccini, un istituto religioso posto sotto la protezione della famiglia Maddaloni. Qui attese probabilmente alla composizione delle quattro Cantate da camera date alle stampe immediatamente dopo la sua morte e – secondo quanto vuole la tradizione – della Salve Regina in do minore e dello Stabat Mater.

Pergolesi si spense il 17 marzo 1736 di "tabe etica", cioé di tubercolosi, e fu sepolto nella fossa comune della Cattedrale di Pozzuoli.

Alla metà del Settecento Pergolesi era già un mito; un mito che crebbe su se stesso degenerando presto in leggenda, perché la nuova enfasi posta sul genio e sulla personalità dell'artista creatore, l'interesse appassionato alla sua vicenda umana si scontrava con una mancanza pressoché assoluta di documenti e di testimonianze dirette: da qui sorsero infinite leggende sulla sua vita e sulla sua opera. La vita di Pergolesi si era bruciata in alcuni anni di lavoro febbrile, in un contesto sociale che guardava al musicista con interesse e rispetto, ma che lo relegava tuttavia in un ambito artigianale. In un contesto, inoltre, nel quale una straordinaria attività creativa vedeva la proliferazione di un'enorme quantità di grandi personalità artistiche, che proprio a partire dall'epoca di Pergolesi diffusero la musica italiana in tutti i maggiori centri europei. Della vita del musicista rimaneva solo qualche frammentario ricordo di chi assistette alla meteora della sua esistenza e della sua straordinaria carriera artistica; e di tali ricordi, spesso fraintesi e deformati dagli scrittori d'oltralpe, furono intessute le prime biografie, a loro volta stravolte e romanzate nell'Ottocento. La sua opera, affidata in massima parte alla tradizione manoscritta, perse di definizione, sia perché molte delle sue composizioni furono dimenticate (solo lo Stabat mater e La serva padrona rimasero costantemente nella tradizione esecutiva), sia perché un enorme corpus di apocrifi venne spacciato come opera del musicista.

Solo in tempi recenti un imponente lavoro di ricerca, svolto in sede internazionale, ha recuperato la reale dimensione di Pergolesi: e la sua immagine autentica si è rivelata assai più affascinante di quella, cristallizzata e unidimensionale, consegnataci dalla tradizione. Le sue musiche non testimoniano solo una personalità creativa estremamente raffinata e complessa, ma ci restituiscono, tutt'intera, un'epoca e una società osservata e interpretata, per così dire, da tutti i punti di vista: la gestualità plebea e lo sberleffo del saltimbanco ma anche la tenera sentimentalità borghese della commedia musicale; lo sfarzo e l'aristocratica malinconia del dramma per musica tardo-barocco e metastasiano, affidato alla pirotecnica abilità tecnica e alla sfrenata fantasia dei grandi evirati; la scatenata vitalità e la sottile schermaglia psicologica dei personaggi degli intermezzi; la solennità e l'imponenza delle grandi composizioni sacre; l'intimismo patetico delle musiche religiose da camera, nelle quali il sacro è inteso come fonte di esperienza emotiva e la divinità si rivela attraverso la tensione e la pienezza del sentimento; il pungente dinamismo ritmico delle musiche strumentali e l'artificio stilistico delle cantate da camera.

Pergolesi è tutto questo, e altro ancora: l'indagine della sua musica continua a rivelarci il magico caleidoscopio di una fantasia e di una capacità di analisi e di sintesi quanto meno straordinarie. Quanto alla sua vita, alla sua dimensione umana e psicologica, Pergolesi continua a nascondersi, inafferrabile, dietro le sue creazioni, come il beffardo e malinconico Pulcinella del geniale balletto che a lui volle dedicare Igor Stravinskij.

Francesco Degrada